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La Storia

Il Caffè Meletti Istituzione e salotto delle idee, per anni fu sede del “Senato”, sodalizio dei notabili della città. Rara espressione del Liberty nelle Marche, con decorazioni floreali e arredi originali perfetti. Re Vittorio Emanuele fece visita nel 1908 e 1910 per acquistare l’Anisetta Meletti e lo decretò “Fornitore della Real Casa”. Mascagni avrebbe iniziato qui a scrivere l’opera “Lodoletta”. Guttuso, alla fine della Seconda Guerra, vi progettò la rivista “L’Orsa Maggiore”. Sono passati Stuparich, Zandonai, Badoglio, Sartre, Hemingway e Trilussa che, goloso dell’Anisetta Meletti, scrisse “Quante favole e sonetti m’ha ispirato la Meletti”. Ubicato nella centralissima piazza del Popolo, accanto al Palazzo dei Capitani, è stato inaugurato la sera del 18 maggio 1907 per volontà di Silvio Meletti, l’industriale di liquori noto per la produzione dell’Anisetta Meletti, che due anni prima aveva rilevato la palazzina realizzata tra il 1881 e il 1884 per ospitare gli uffici della Posta e del Telegrafo. Grazie all’opera dell’ingegner Enrico Cesari e del pittore decoratore Pio Nardini, nasce così un elegante bar in stile liberty caratterizzato dalla ricchezza degli arredi, dallo splendore degli ornamenti e dalla raffinatezza delle pitture che ancora oggi contribuiscono a rendere unica l’atmosfera del Caffè Meletti. Per “la coerenza che lo lega alle strutture in un tutto inscindibile, per l’unitarietà, essendo rimasto, salvo qualche piccola variante, nello stato originario, per l’eleganza delle linee e del decoro che ne fanno un raro documento di stile liberty nella regione marchigiana, e perché luogo preferenziale di incontro socio-culturale che ha rivestito in passato e che oggi continua a mantenere, tanto da essere soprannominato il Senato”, il Caffè Meletti nel 1981 è stato dichiarato dal Ministero dei beni culturali e ambientali ‘Locale di interesse storico e artistico’. Dopo una chiusura che ne ha messo a rischio la continuità, nel 1996 il Caffè Meletti viene acquistato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno che lo restituisce alla città nel 1998 dopo un’attenta opera di restauro conservativo. I successivi adeguamenti strutturali e tecnologici conclusi nel novembre del 2011 hanno riportato il bar e il ristorante al prestigio e al fascino di un tempo.

L'Architettura

’Architettura del Caffè Meletti è affascinante quanto la sua storia. La palazzina che ospita il Caffè è, nella propria linearità, un elemento che si inserisce con grande eleganza nello scenario cinquecentesco di Piazza del Popolo, apportando anche un delicato tocco di colore con la sua intonacatura rosa antico.
Su pianta trapezoidale, la facciata principale, di stile tipicamente neoclassico, è suddivisa in tre fasce orizzontali, demarcate da cornici sagomate, corrispondenti ai tre piani dell’edificio. Al piano terra le quattro vetrine e l’ingresso sono protette da un portico a cinque arcate con volte affrescate dal pittore ascolano Giovanni Picca nel 1883 con affreschi sul tema “Emblemi allusivi delle funzioni postali”; poco sopra la cornice marcapiano sorregge una fila di cinque finestre sormontate da altrettante lunette a tutto sesto (piano nobile) e infine una cornice dentellata funge da basamento per la balaustrata che delimita l’ampia terrazza (ultimo piano). Nel 1906 gli affreschi furono intonacati e solo il restauro del 1998 ha riportato alla luce l’intera opera.
L’interno del locale ricalca l’impostazione tipica di un caffè ottocentesco in stile liberty ed è organizzato in uno spazio per la consumazione in piedi, uno spazio ampio per la consumazione a sedere e uno per la pasticceria. L’inimitabile atmosfera è protetta da ogni dettaglio di stile e arredamento. Dagli affreschi del soffitto, opera del pittore ascolano Pio Nardini alle appliques e ai lampadari in ottone lavorato con bulbi in vetro smerigliato fino ai divani rivestiti di morbido velluto verde muschiato, ai tavolini rotondi con piano di marmo bianco di Carrara su base in ghisa fusa lavorata, altri dipinti dall’artista milanese Giuseppe Moneta, alle sedie di tipo Thonet con impagliatura di Vienna, alle colonne in ghisa con il capitello fruttato e alla caratteristica scala a chiocciola in legno intagliato. Gli ultimi interventi di restauro hanno lavorato sulla profondità, aprendo l’ingresso da via del Trivio, sulla funzionalità del banco bar e sull’illuminazione grazie a ai lampadari in vetro di murano.